Se il mondo continua a dirti che non sei abbastanza bravo, sano, liscio, in forma, produttivo, positivo o zen, è ora di chiederti cosa diavolo c’è che non va nel mondo.
Con questa bellissima frase, scelta per occupare la quarta di copertina del libro della Donner “Manuale di autodistruzione”, desidero mandare un messaggio per me molto importante, al segnare l’inizio di questo magazine virtuale, che nasce con l'intento di essere uno luogo di condivisione libero, pacifico, aperto.
Premetto che lavoro come insegnante di Yoga e Meditazione, oltre che come Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica e collaboro nella creazione di progetti psico-educativi: ogni istante della mia giornata ed ogni sforzo lavorativo sono volti nell’offrire strumenti per poter star meglio e migliorare la qualità della vita. La ricerca del proprio benessere, di un proprio equilibrio, è uno dei motori più nobili ed importanti della vita, che dovrebbe accomunare tutti, alla base anche di questo śānti mag.
Detto questo, è di vitale importanza ricordare come la vita ed il reale percorso di ognuno siano composti da tutte le sfumature. Così come è legittimo il benessere, lo è anche il malessere. Per brillare abbiamo bisogno dell’oscurità. Viviamo in una società dove pullulano i consigli su come apparire belle e belli, giovani, felici, sorridenti, prestanti e sempre presentabili. Infiniti elenchi e manuali di auto-aiuto per essere sempre migliori, sulla cresta dell’onda. Inoltre, quasi superfluo ricordare come molti studi abbiano già evidenziato come i social network con la loro ostentata presenza di una perfezione felice, spesso irraggiungibile, creino una costante ricerca di qualcosa che non esiste, instaurando il desiderio di assomigliare sempre più alla nostra immagine modificata dal filtro.
Corriamo affannosamente dietro al benessere, all’essere migliori, affidandoci a tutti quei "saggi" consigli che generosamente giungono a noi da ogni dove e se ogni tanto ci sentiamo giù, mangiamo junk food, ci viene l’ulcera gastrica per lo stress, abbiamo gli incubi, piangiamo per un torto del passato o qualsivoglia cosa considerata non green, healty, smiley, smart, zen... ci sentiamo anche in colpa.
Ok. Stop.
Se volete ve lo dico, così a prossima volta non vi sentirete in colpa: va benissimo star male, va benissimo non aver voglia di allenarsi, va benissimo non affrontare una situazione se non ci sentiamo pront* per farlo, va benissimo sapere quale sarebbe la cosa giusta da fare e decidere di non farla (o fare altro!), va benissimo quel brufolo sul naso, vanno benissimo quei chili di troppo, va benissimo non guadagnare i milioni, così come non avere una casa da copertina, va benissimo avere il frigo vuoto, va benissimo…. qualsiasi cosa per la quale almeno una volta nella vita ti sei sentit* in colpa. E sai perchè? Perchè la vita non è una gara. Non è una competizione. E soprattutto, ogni giorno, ogni istante siamo una persona nuova, diversa da quella di ieri.
Questa continua ricerca, invece, ci allontana da ciò che siamo nel presente, dai nostri reali bisogni ed emozioni, come in un’inutile lotta per rimandare l’unica cosa certa della vita: la morte.
Valorizziamo le unicità, valorizziamo l’istinto. Ciò che funziona per altri, può non funzionare per te. Ciò che piace agli altri, può non piacerti. Le scelte che prendono le altre persone possono non rispecchiarti. Le parole che gli altri dicono possono essere molto lontane da quelle che diresti tu.
Valorizziamo l’ascolto per la vita, composta dal Tutto. Abbandoniamo i concetti di giusto o sbagliato, positivo o negativo, ma onoriamo ogni esperienza che la vita ci offre come insegnamento.
Lasciamo stare i consigli, gli elenchi puntati, le ricette facili. E quando ve le proporremo, perchè sono certa avverrà, voi prendetele con le pinze. Come qualcosa che è lì, che se ora mi risuona posso farlo mio, altrimenti posso buttarlo nel cestino: it’s ok!
La condivisione, quella libera, quella vera, non vuole conformare, piuttosto creare spunti, attimi di riflessione.
Come ripeto sempre nelle mie lezioni di yoga, la chiava della Vita è l’Ascolto dell’istante presente. Ascolto sensoriale, libero da qualsiasi comprensione razionale. Essere noi stessi è la più profonda libertà, esserlo nel rispetto del nostro istinto, saggio maestro che non sappiamo più ascoltare. L’istante presente ci ricorda che noi esistiamo unicamente nel qui ed ora, non nel passato nè nel futuro: rimaniamo fluidi, leggeri, in movimento. Fossilizzarci nelle idee, nella definizione di chi ci crediamo di essere, ci indurisce e ci chiude alla vita, ci allontana dalla possibilità di evolvere e trasformarci.
La trappola del benessere mainstream è quella di conformarci a un’immagine di sano, bello, felice del tutto irreale e non valida universalmente, che ci proietta in una costante insoddisfazione e senso di inadeguatezza e colpa. Insomma, ricercando quel benessere preconfezionato non facciamo altro che tarparci le ali e chiuderci in gabbia.
Restiamo morbidi, aperti all’ascolto, pronti ad accogliere la Vita e camminarla col cuore.
Ogni strada è soltanto una tra un milione di strade possibili. Perciò dovete sempre tenere presente che una via è soltanto una via. Se sentite di non doverla seguire, non siete obbligati a farlo in nessun caso. Ogni via è soltanto una via. Non è un affronto a voi stessi o ad altri abbandonarla, se è questo che vi suggerisce il cuore. Ma la decisione di continuare per quella strada, o di lasciarla, non deve essere provocata dalla paura o dall’ambizione. Vi avverto: osservate ogni strada attentamente e con calma. Provate a percorrerla tutte le volte che lo ritenete necessario. Poi rivolgete una domanda a voi stessi, e soltanto a voi stessi: “Questa strada ha un cuore?” Tutte le strade sono eguali. Non conducono in nessun posto. Ci sono vie che passano attraverso la boscaglia, o sotto la boscaglia. Questa strada ha un cuore? E’ l’unico interrogativo che conta. Se ce l’ha è una buona strada. Se non ce l’ha, è da scartare.