LWilly Van Lysebeth, studioso e praticante di yoga fin da giovanissimo sotto la guida del padre, André Van Lysebeth, considerato il pioniere dello yoga in Europa, diceva scherzosamente “No ujjāyī , no yoga” sottolineandone l’importanza centrale nella pratica degli yogi.
Ujjāyī è abbastanza famoso e conosciuto nelle shala di yoga, dove spesso si sentono gli allievi respirare rumorosamente sovente accentuandone il suono. Stefania Redini nel suo libro “Pranayama, Dal respiro nel corpo al corpo nel respiro” lo definisce sagacemente una respirazione “silenziosamente sonora”. Infatti, non è importante che il suono emesso dall’aria che filtra nella gola venga udito dall’esterno, ma è piuttosto una guida interiore, intima, che permette alla nostra mente di non vagare e perdersi, ma piuttosto rimanere ancorata a questo suono delicato e sottile che ci attraversa nel profondo.
Sempre Redini ci descrive poeticamente: “Come l’acqua di un fiume cola dove la terra le ha preparato il letto, così ujjāyī è come un canale dove fluisce l’ascolto sottile, dove fluisce l’essenza di asana, al tempo stesso corpo denso e corpo sottile, inizio di un concreto distacco sensibile.”.
Praticando Ujjāyī Pranayama ci renderemo subito conto di come il respiro si canalizza nella direzione interiore, divenendo solido, prensibile, orientabile, oltre a prendere spontaneamente un ritmo più lento, costante e profondo: “Ujjāyī permette di allungare realmente il flusso del respiro, che diventa come olio che cola, senza scosse, senza interruzioni, uguale nell'inspiro e nell'espiro." (Redini)
Nella tradizione tantrica, i saggi narravano che ogni persona venga al mondo con un numero ben definito di respiri. Ne deriva che l’arte del saper respirare divenne uno dei segreti per avere una lunga vita: Ujjāyī Pranayama era quindi uno degli strumenti per imparare a respirare molto lentamente e far così durare il più possibile la dotazione di respiri ricevuta alla nascita. Da qui una delle interpretazioni di Ujjāyī, anche conosciuto come respiro Vittorioso: questa Vittoria era vista come un tentativo di vincere ciò che la natura aveva concesso tassativamente ad ognuno di loro, ossia il numero prestabilito di respiri, ma anche la Vittoria del respiro sulla mente.
A livello etimologico alcune interpretazioni riferiscono l’origine del termine all’unione di “Ud”, che significa elevare, e di “Jaya”, che invece si riferisce ad un saluto indiano: ciò indicherebbe “ciò che si esprime ad alta voce” e si riferisce al suono che si ode quando si pratica questa respirazione. La parola “Jaya” viene anche interpretata come vittoria, conquista, da qui il respiro vittorioso.
Sri T.K Sribhashyam (1940-2017, seguì l’insegnamento di suo Padre e Maestro Sri.T.K. Krishnamacharya sin dalla più tenera età, trasmettendo filosofia indiana, lo Yoga e l’Ayurveda, secondo i canoni della più pura tradizione della trasmissione orale) diceva: "La parola ujjāyī non esiste che nello yoga. Proviene dalla radice Uj che significa volare, sollevare, portare in alto, e indica dunque un nesso con la trascendenza. Secondo lo yoga tradizionale, noi tutti abbiamo in noi una forza, chiamata Ojas, che non è né fisica né materiale. Questa forza ci viene dal Creatore e ci aiuta a raggiungerlo. Ojas è una potenza indispensabile per la nostra ricerca spirituale. Ujjayi è la respirazione complementare a Ojas. Ojas è sempre situato nel cuore, il cuore spirituale. La sua unica funzione è portare l'individuo verso l'Origine, fornendogli il necessario coraggio per proseguire sulla via di ricerca e di messa in discussione di se stesso."
Molto bello è ascoltare nell’Ujjāyī Pranayama il suono del mantra “SO HAM”, So lo si può udire durante l’ispiro, Ham nell’espiro. Con ogni respiro ci troviamo quindi a recitare un mantra al contempo semplicissimo e profondissimo, in cui significato è traducibile con “quello io sono”, riferito alla realtà ultima e all’appartenenza del singolo al Tutto, la connessione profonda di ognuno con l'Universo intero.
Molti sono gli effetti che vengono attribuiti alla pratica Ujjāyī Pranayama durante l’esecuzione delle āsana:
Come spesso succede è più facile eseguire che spiegare: appena si inizia a praticare si è in grado di comprendere facilmente quando Ujjāyī Pranayama è entrato in noi percependone gli effetti sulla pratica dal primo istante.
Per realizzare Ujjāyī Pranayama serve una leggera chiusura della glottide, senza che questo generi tensione nella gola. Per indagare e sperimentare come stimolare questa leggera chiusura possiamo provare a: